Infortunio e malattia professionale al tempo del Covid

Inviato da iside il Ven, 11/13/2020 - 15:05
Quando contratto sul lavoro il Covid 19 è da considerare un vero e proprio infortunio e come tale deve essere trattato.

E’ da febbraio, dal momento in cui si è formalmente ammesso di essere in presenza di una pandemia, che i lavoratori, in modo particolare quelli dei cosiddetti settori produttivi, sono divenuti “sacrificabili”, computabili come effetti collaterali di una strategia posta in essere – meglio scritta sotto dettatura di Confindustria – finalizzata a minimizzare ad ogni costo (letteralmente in termini di vite umane) gli effetti dell’emergenza sul fatturato delle aziende.

Tra primavera ed autunno, misure più o meno draconiane hanno messo e rimesso in ginocchio interi settori e comparti economici e sociali. 

Ma per gli associati a Confindustria, con il salvacondotto della cosiddetta “indispensabilità”, l’estrazione del carbone (!) come la produzione di cappuccetti di plastica, hanno potuto continuare indisturbate, esponendo i lavoratori coinvolti ai rischi di contagio sia sul posto di lavoro e sia nell’itinerario dalla propria abitazione al lavoro e viceversa. 

E’ stato solo dietro le azioni di lotta messe in campo dai lavoratori che, a posteriori, governo, padroni e sindacati complici si sono degnati, non di applicare le norme esistenti, ma di sottoscrivere degli inadeguati protocolli, con i quali, peraltro, Confindustria pretendeva di vedere assicurata l’impunità dei padroni per i danni causati dalla loro volontà di massimizzare il profitto.

Ora, in presenza della ripresa della “prima ondata” – perché il contagio non si è mai arrestato, e non per la movida o le discoteche sarde, ma perché il virus ha continuato a girare tra chi doveva lavorare per vivere – quando l’ampiezza del numero di test quotidianamente eseguiti (anche il quadruplo rispetto a quelli che venivano effettuati a marzo-aprile) attesta la diffusione della pandemia, occorre che, a partire dagli RLS le aziende vengano poste di fronte alla proprie responsabilità.

Novantanove lavoratori su cento, che contraggono la positività al Covid 19, non lo devono a propri comportamenti sconsiderati in apericene al bar o in discoteca, ma ai contatti ravvicinati che hanno avuto in azienda o nell’itinere da e per l’azienda. Contagiando peraltro le possibili persone fragili che con loro convivono.

La positività al Covid 19, allora, non è da considerare una “malattia”, ma un vero e proprio infortunio patito sul lavoro o in itinere e come tale deve essere trattato.

Questo, l’INAIL, pur se nella distinzione tra riconoscimento automatico o meno, lo ha chiarito immediatamente.

Ma il fatto è che allo stato solo il 3% delle malattie da “Covid 19” sono state classificate come infortuni sul lavoro.

La cosa inaccettabile è che questo dato possa essere preso a pretesto per attribuire ai luoghi di lavoro una patente di “luogo controllato” – al pari delle aule delle scuole – sostanzialmente sicuro.

La realtà, infatti è ben altra.

La realtà è che le malattie “Causa Covid” non vengono segnalate come dovrebbero essere perché sono gli stessi medici di famiglia, ovvero coloro cui è demandato di certificare la malattia, a non compilare contestualmente il Primo Certificato Medico di Infortunio sul Lavoro. Quello indispensabile all’avvio dell’iter, con cui viene rimessa all’Inail e solo all’Inail la facoltà di classificare il fatto come infortunio sul lavoro o come semplice malattia.

Come sono sempre i medici di famiglia, o il medico specialista che accerta la presenza di una patologia che potrebbe essere stata generata o aggravata dal Covid 19 a non compilare il Primo Certificato Medico di Malattia Professionale, indispensabile ad attivare quell’altro iter con cui sarà alla fine l’Inail e solo l’Inail a stabilire se la patologia diagnosticata sia da classificare o meno come postumo dell’infezione patogena.

I moduli, con le istruzioni per la loro compilazione ed il loro invio sono scaricabili in rete dal sito istituzionale dell’INAIL ed il loro esame è in grado di chiarire qualunque remora o dubbio del medico da sempre non avvezzo a questo tipo di certificazione.

Rendere i lavoratori consapevoli di tutto questo, fornire agli stessi gli strumenti ed il supporto perché la loro vicenda personale venga definita correttamente, sono, tutti, presupposti per mettere l’azienda di fronte alle proprie responsabilità e determinare una migliore condizione del lavoro.